Il Giornale del Piemonte e della Liguria · Sandrone Valentina · 15 Novembre 2024

CIA Cuneo: l’agricoltura affronta la crisi climatica

L’annata agraria 2024 è stata contraddistinta da numerose difficoltà

Il cambiamento climatico ci seppellirà. Se non impariamo ad accettarlo, affrontarlo e gestirlo. Questo è quanto emerso dalla conferenza stampa che la CIA  - Confederazione Italiana Agricoltori di Cuneo ha organizzato nella mattinata di  giovedì 14 novembre. L‘analisi dell’annata agraria 2024, conclusasi con la ricorrenza di San Martino, ha lasciato spazio ad alcune valutazioni sul futuro dell’agricoltura, vero motore trainante dell’economia cuneese. 
L’imprenditoria agricola infatti apporta, nella Granda, il doppio del valore aggiunto rispetto al resto del Piemonte. Un territorio ricco e fertile, primo nella classifica regionale per i capi bovini e suini e per il peso dell’industria vitivinicola, in particolare per i vini DOC e DOCG, ma nonostante questo, anzi forse proprio per questo, soggetto agli andamenti di un mercato non sempre clemente e, soprattutto, al cambiamento climatico, che si abbatte come una scure sulle nostre campagne. Un’annata purtroppo difficile, come riferito da Claudio Conterno, presidente di CIA Cuneo e referente del comparto vitivinicolo. Un’agricoltura sempre più vittima di eccessi meteorologici e di mercati oscillanti rende impossibile una programmazione invece necessaria in questo campo specifico, senza contare poi le sfide del futuro, di un futuro che sembra lontano ma che, come dice Conterno, «è domani mattina», soprattutto se si pensa a un passaggio generazionale caratterizzato dalla necessità di votarsi al green e alla sostenibilità. 
Le sfide si presentano ormai in tutte le specifiche produzioni di un comparto che, pur rimanendo trainante per la provincia di Cuneo, non può non affrontare le difficoltà dell’attualità.
Il vino si trova, sia per questioni meteoclimatiche che di mercati internazionali, in una posizione difficile. Un settore d’eccellenza deve confrontarsi con condizioni mutate a cui dare risposte concrete. Non solo il clima, appunto, ma la gestione di un mercato che guarda sempre di più a bevande alcool-free e a nuove aree geografiche. Altra grande sfida poi è quella dei contratti di lavoro, per i quali si richiede maggiore flessibilità perché se piove in settimana è ovviamente necessario recuperare quelle ore di lavoro nei weekend, per non perdere la produzione.
La zootecnia e gli allevamenti hanno invece dovuto confrontarsi con la crisi del mais e dei cereali, spesso coltivati in autoproduzione per destinarli poi alle proprie stalle, come ricordato da Silvio Chionetti. Attualmente i costi dei prodotti sono contenuti ma non è tutto oro ciò che luccica, infatti la vera contrazione si ravvisa nei consumi e nei prezzi dei bovini, in particolare della Razza Piemontese, senza contare malattie quali la Blute tongue e la PSA. La produzione del latte invece rimane buona e stabile, ma anche in questo caso la programmazione deve saper guardare avanti, perché un cambiamento nei mangimi può significare un calo di qualità. La progettazione agricola, ricorda Conterno, deve pensare in un ordine di 5, 10, anche 15 anni, se vuole essere davvero efficace ed effettiva.
Altro allarme arriva da Maurizio Ribotta, referente per frutticoltura e apicoltura, e da Lorenzo Traversa, presidente del Consorzio Nocciola Piemonte IGP e referente per la corilicoltura. Per quanto concerne le produzioni da frutto, in Piemonte abbiamo 17000 ettari di superficie coltivata, di cui la maggior parte nel cuneese. Purtroppo però negli ultimi si è ravvisata una forte contrazione, soprattutto per le coltivazioni di pesche nettarine e di actinidia (kiwi). Il cambiamento climatico anche in questo caso ha influito, ma le concause sono da ravvisarsi nella presenza di parassiti e malattie e della fatica economica nel farsi valere sui mercati. La valorizzazione del prodotto frutticolo deve partire innanzitutto da un certificato di qualità, in particolare per quanto concerne la produzione biologica. Al giorno d’oggi molte aziende di produzione biologica tornano sui loro passi in quanto i costi elevati, a fronte dello scarso rendimento e di un mercato non competitivo, rendono impossibile sopravvivere; un controsenso, se si pensa che l’obiettivo europeo è di arrivare al 2030 con il 25% di superfici coltivate utilizzate per produzioni biologiche. Questo rende impossibile agli imprenditori l’accantonamento di risorse utili agli investimenti futuri e all’innovazione tecnologica.
Anche l’apicoltura, purtroppo, non può essere foriera di notizie più rosee, anzi il 2024 sembra essere la peggior annata di sempre, dopo 6 anni di oggettive difficoltà. Poco prodotto e prezzi molto bassi rendono difficile lo svolgimento delle attività, in un mercato italiano ormai invaso da mieli stranieri a basso costo. Le nocciole, anche se non vittime di mercati esteri, o perlomeno non in maniera così impattante, sono altresì vittime di sbalzi termici e di condizioni fitosanitarie avverse, tanto da arrivare a produrre nel corso dell’annata appena chiusa appena 2 quintali a ettaro, rendendo insostenibile qualsivoglia produzione.
Da ultimo, Marco Bellone ha portato la testimonianza della castanicoltura, altro settore gravemente colpito dalle piogge primaverili, di cui è stata vittima l’impollinazione delle piante, quindi dalle grandinate e infine dal primo freddo di settembre, tanto da poter definire il 2024 l’annus horribilis delle castagne.
La CIA ha quindi presentato una lettera all’assessore regionale Paolo Bongioanni, connesso da remoto alla conferenza, all’interno della quale sono illustrate le istanze dei vari settori e, da ultimo, per tutti i comparti, la richiesta di strumenti bancari e finanziari più snelli e assicurazioni dedicate alle aziende agricole che tutelino il reddito. Non tutto è perduto, però, come osserva il presidente regionale Gabriele Carenini, l’impegno e la responsabilità dei singoli non vengono meno: «Nonostante le difficoltà, bisogna sottolineare come alla fine il comparto primario regga sulle gambe dei singoli imprenditori agricoli, grazie alla loro altissima professionalità e capacità di affrontare le grandi emergenze del momento, a cominciare da quella dei cambiamenti climatici, la più importante per chi lavora a cielo aperto. Per questo è fondamentale che si mettano in campo strumenti che, prima del prodotto, tutelino il reddito dell’agricoltore, per consentirgli di sopravvivere non solo alle calamità climatiche, ma anche a quelle legate al mercato. Senza agricoltori, non c’è prodotto e chi è costretto a chiudere, in agricoltura, non riapre più».