La Piazza Grande · Redazione · 11 Gennaio 2025

Celebrare la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani per ritrovare la speranza

Celebrare la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani nell’anno giubilare per ritrovare la Speranza con la S maiuscola, e cioè la certezza che la preghiera del Signore perché “tutti siano una cosa sola” (Gv. 17,21) sarà esaudita. Anzi nella fede pasquale – formulata fin dal Concilio di Nicea nel 325 – è già esaudita. “Credo la Chiesa una…”. Si tratta di rifare, come cristiani che hanno in comune quello stesso credo (formulato a Nicea e a Costantinopoli), un atto di fede. “Credi tu questo?” è il titolo di quest’anno. Quell’atto di fede che, come nell’episodio del vangelo da cui è tratto (Gv. 11, 26) ha rivitalizzato Lazzaro e che può dare nuova vita alle nostre Chiese.

Il contesto, in cui oggi ricordiamo quel Credo della Chiesa ancora indivisa, non è per niente favorevole all’unità dei cristiani. Nel nostro emisfero (in quello sud la settimana di preghiera si celebra a Pentecoste) tutte le Chiese tradizionali stanno vivendo una crisi di cui solo la Speranza lascia intravvedere una luce. I cammini ecumenici che hanno accompagnato il pre ed il post Concilio Vaticano II hanno subito una o più battute d’arresto di fronte ai conflitti che stanno insanguinando i nostri popoli. Ma soprattutto le guerre e le loro implicanze religiose hanno fatto cadere quel buonismo che cantava De André: “… credevano a un altro diverso da te e non mi hanno fatto del male”. Hanno fatto emergere cioè problemi nuovi che hanno svegliato contrasti sopiti e reso meno ingenuo il reciproco approccio. In fondo è emerso quanto diversi siano nelle comunità cristiane i modi di vedere la Chiesa ed il suo rapporto con il mondo. Difendere il bagaglio di conoscenza, di credenze e di tradizioni maturato nei secoli o metterlo in discussione di fronte alle nuove sfide, tenendo ciò che è “di fede” e relativizzando tutto il resto? Sono posizioni che dividono tra di loro, ma anche al loro interno, le Chiese occidentali tanto quanto quelle orientali, fino a spingere qualcuno a giustificare indebitamente l’uso della forza pur di mantenere intatto il patrimonio di valori acquisito. Ritornare a quella Chiesa “una, santa, cattolica (nel senso di universale), apostolica” è un atto di fede ed è un nuovo cammino ecumenico che si apre.

In fondo il credo di Nicea (integrato poi a Costantinopoli) rappresenta la “costituzione” del cristianesimo ed ogni costituzione è la base della convivenza sociale. Eppure – come succede anche per la società civile – le nostre Chiese sono alle prese con correnti religiose che non si basano più su quel Credo. Sono sètte e correnti evangelicali, che pur rifacendosi al vangelo, non condividono tutti i cardini della fede. Inoltre molti, che continuano a dirsi cristiani, seguono una religione “fai da te” o il santone che la propone. Ed è difficile dialogare con queste nuove forme di cristianesimo, spesso radicalizzate e intolleranti, perché manca “una costituzione”. Manca quel “Credo” che la Chiesa dei primi secoli a cominciare da Nicea ha formulato, non senza lunghe vicende travagliate e sofferte.

Ritrovare l’unità delle Chiese che si rifanno a quel Credo, è perciò oggi quanto mai urgente. Non esiste vero dialogo senza una base chiara e definita di entrambe le parti. Questo vale in tutti i contesti, anche a livello interpersonale. Così è importante che le Chiese cristiane che accettano integralmente quel Credo rinsaldino l’unità nella fede. Messe le basi, è possibile guardare il mondo con fiducia e speranza sapendo che lo Spirito Santo fa cadere di volta in volta gli orpelli che ci costruiamo nel tempo e traccia cammini sempre nuovi nella storia. Solo con questa chiarezza si può fare oggi un cammino di dialogo schietto, rispettoso e senza pregiudizi. Non è solo un atto di fede, ma un impegno di fede, capace di rispondere come Marta al “Credi tu questo?” di Gesù, per testimoniare nel mondo un messaggio evangelico condiviso e credibile.