«Mi ricordo ancora il 25 aprile»
Gli aneddoti sulla guerra del monregalese d'adozione Antonio Gnocchi
Antonio Gnocchi è nato nel 1934 a Trecasali, in provincia di Parma. Tuttavia, può essere definito un monregalese d’adozione, dal momento che vive a Mondovì dal 1962. Dopo una vita passata a lavorare alla Banca di Novara, nel 1994 è andato in pensione e oggi vive a Villa Piovano.
Villa Piovano è un edificio ricco di storia. Risale agli anni Venti del Novecento e durante la guerra venne sequestrato dagli ufficiali tedeschi che ne fecero il loro comando.
Antonio Gnocchi, invece, durante la guerra era un bambino, ma ricorda ancora molto bene alcuni eventi estremamente importanti per la nostra Nazione.
La guerra nella pianura emiliana è stata diversa da quella combattuta sulle nostre montagne, ma non per questo meno terribile.
Non c’erano i partigiani, ma numerosissimi sfollati che da Parma si riversavano nella campagna circostante, per sfuggire alle bombe. Durante il racconto, confida che le nuove generazioni non sperimentino mai la paura di vivere in tempo di guerra. Sentire, con quel suono cupo e sinistro, un caccia che si abbassa fino a 50 metri da terra e poi vederlo sganciare le bombe sopra una città, è un vero e proprio incubo.
Certo, almeno chi viveva in campagna qualcosa da mangiare lo aveva, ma erano tempi estremamente difficili.
In ogni caso, fra i molti aneddoti, il più interessante è sicuramente quello relativo alla liberazione.
“La mattina del 25 aprile mi sono svegliato con il mio paesino in festa che accoglieva le camionette degli americani. Tutti volevano offrire loro da bere, ma gli statunitensi non amavano molti il vino. Nondimeno, trovammo un accordo e bevemmo il vino bianco, sebbene la mia sia una terra di rossi...
Da tempo si sapeva che gli Alleati stavano risalendo la penisola e che sarebbe stato solo una questione di tempo lo sfondamento della linea Gotica. Infatti, mio padre, come molti altri, a tarda sera ascoltavano Radio Londra per essere informati, ma bisognava stare attenti.
Tuttavia, la guerra non era finita, forse la notte fra il 25 e il 26 aprile, a due chilometri da dove abitavo, gli sbandati dell’esercito tedesco bussarono ad una cascina per farsi dare da mangiare.
Quando gli americani lo vennero a sapere, si precipitarono sul posto. Un tedesco cercò di scappare su una bici, ma un soldato americano gli puntò il fucile e gli intimò di fermarsi, ma complice una leggera discesa, non ci riuscì e venne colpito da un proettile di fucile.
Il corpo del militare non venne toccato per 3 o 4 giorni e io stesso andai a vederlo. Dopodichè gli americani acconsentirono a seppelirlo. Per costruire la bara venne incaricato un artigiano locale che realizzava botti. Tuttavia, quando portarono la salma al cimitero cittadino, il prete non acconsentì al fato che un tedesco venisse seppellito nel cimitero e perciò venne scavata una buca davanti all’ingressso. Anni dopo, quando tornai al mio paese, mi dissero che erano venuti i suoi parenti dalla Germania a riprenderselo.”