La Piazza Grande · direttore Claudio Bo · 20 Agosto 2023

Cancel culture e altre baggianate

I balordi in crociata contro il buon senso

“La favola bella che ieri t’illuse, che oggi m’illude o Ermione”. Così la “Pioggia nel Pineto”, una delle più belle liriche di Gabriele D’Annunzio, i cui scritti potrebbero anche finire all’indice del “cancel culture”.

In realtà uso questo verso per parlare di fiabe (e non di cancel culture) dopo il rifacimento cinematografico di “Biancaneve” che, in sostanza, ha reso la protagonista un po’ meno bianca e ha rivisto nani e principi. Francamente non so cosa rimanga del primo film, ma poco male: l’opera di Disney era già diversa dall’originale dei fratelli Grimm. Nell’adattamento cinematografico tutto è possibile. Del resto molte fiabe, anche d’autore, sono state rivisitate rispetto all’originale, spesso cruento e crudele. Pensate ad Hansel e Gretel. Per non parlare delle narrazioni affidate alla tradizione popolare: di generazione in generazione cambiano e si arricchiscono.

Capita che la “morale” stessa della fiaba cambi, specialmente laddove si rifaceva a insegnamenti ormai superati.

Del resto proprio Disney introdusse nei suoi fumetti le “famiglie arcobaleno”: pur mantenendo il rapporto uomo-donna, fece spuntare dal nulla i figli che, generalmente, vivevano con lo zio (i maschietti) e con la zia (le femminucce). Per i paperi non era un problema, visto che nascono dalle uova, ma i topi sono mammiferi. Fra le eccezioni mi viene in mente Charlie Brown che ha una famiglia classica.

Nelle fiabe lungometraggio, invece, la famiglia compare talvolta, come in “Mary Poppins” o nella “Sirenetta”, ma anche qui abbondano gli orfani, come in “Pomi d’ottone e manici di scopa” o in “Mowgli”.

Tutto quel popolo che si identifica in un acronimo illeggibile dovrebbe essere contento. Scomparsi padri e madri restavano gli zii e le nonne. Braccio di Ferro, in realtà, ha un padre e ha un figlio, Pisellino, ma è adottato. Popeye, poi, non è sposato, nonostante l’eterna, e civetta, fidanzata Olivia.

Anche Pinocchio (fiaba, fumetto, cartone animato) non ha mamma ma solo babbo e viene al mondo in modo piuttosto... singolare. Pure nei fumetti italiani scarseggiano le mamme, pensate a Soldino e nonna Abelarda.

Non credo che la mancanza, nelle strisce, del modello famigliare consueto abbia traumatizzato i piccoli lettori, per cui non pare così necessario indottrinare i fanciulli sui vari tipi di famiglia possibile. Penso che nei fumetti e nei cartoni si possa proporre qualsiasi cosa e la variante meno inserita è proprio la famiglia “tipo”: i supereroi sono talvolta fidanzati, ma mai sposati, Superman ha una famiglia adottiva, gli altri li troviamo spesso single (taluni un po’ sfigati) prima della trasformazione. Nei cartoni di ultima generazione compare in verità la famiglia (Simpson e Griffin), ma è difficile prenderla ad esempio.

L’aspetto paradossale è che i “cartoons”, pur essendo rivolti ai più giovani, non si preoccupavano troppo dei matrimoni, forse per l’esigenza di glissare sul sesso, almeno sino a tempi più recenti in cui (fumetti erotici a parte) hanno iniziato a fiorire personaggi (maschi e femmine) piuttosto sexy: si tratta di un mondo “altro” che può essere diverso dal reale e che può essere infarcito di qualsiasi cosa. Non mi addentro nel campo dei fumetti propagandistici che meriterebbero un capitolo a parte.

Altro discorso è quello relativo alla storia e alla letteratura. Qui sta fiorendo un “indice” politicamente corretto peggiore di quello dell’inquisizione che in qualche modo sopravvisse sino al secolo scorso.

Personaggi in odore di razzismo, maschilismo e omofobia sono già nel mirino della “cancel culture”: statue abbattute, toponomastica contestata, libri all’indice. Si tratta di una deriva pericolosa e anacronistica: non si possono leggere la storia e la letteratura con il metro delle convinzioni politiche soggettive. Anche il “politicamente corretto” ha spazio in Occidente, ma è paradossale in molte culture contemporanee. Sicuramente non funziona se applicato alla storia dell’umanità in cui le persone avevano un’educazione e, quindi, una cultura con valori anche opposti ai nostri.

Basti l’esempio dell’uso delle parole Patria e patriota: oggi chi le pronuncia viene definito “fascista”, solo nel secolo scorso erano le parole d’ordine dei partigiani e degli antifascisti, anche nelle celebrazioni della Vittoria.

Altro aspetto ancora il desiderio di “modernizzare” i capolavori magari “politicizzandoli” un po’: avviene nel teatro, ma principalmente nella lirica con le incursioni fantasiose dei registi. Le polemiche suscitate dalla Bohème segnalano quanto le forzature ideologiche non sempre abbiano successo. Fare di Rodolfo e sodali dei rivoluzionari comunisti ha fatto a pugni col libretto (a cui, comunque, aveva collaborato Puccini stesso, che era massone) e ha creato imbarazzanti contrasti fra le parole dell’opera e l’ambientazione.

Mimì accesa sessantottina canta: “Son tranquilla e lieta ed è il mio svago far gigli e rose”. E poi: “Non vado sempre a messa, ma prego assai il Signor”. E quando Rodolfo, militante comunista, la corteggia le prende la mano e canta: “Che gelida manina, se la lasci riscaldar”.

Lo stesso era avvenuto per Tosca, ambientata ai tempi del nazismo (ma si parla della Repubblica Romana e di Napoleone mentre Scarpia si indigna perché Tosca giura in chiesa) e per la Carmen infilata nella rivoluzione cubana. Paradossalmente oggi a Cuba la corrida è proibita. Trasformare degli eroi risorgimentali in partigiani e dei contrabbandieri in guerriglieri non è detto che funzioni: il pubblico “conservatore” del melodramma ha detto “no”.

A mio avviso, con buona pace dell’estro dei registi, le opere andrebbero rappresentate seguendo rigidamente il libretto. Ai miei tempi i “patiti” della lirica erano proprio gli operai e gli artigiani (solitamente comunisti) che venivano stipati nel loggione. Erano l’incubo dei cantanti e dei registi perché severissimi: conoscevano l’opera a memoria e non avrebbero tollerato non solo le stecche, ma anche il minimo cambiamento. Ricordo un mio vicino di casa (che era nello Psiup), persona gentile ed affabile, insorgere per l’ambientazione troppo moderna del “Di Provenza il mare e il suol” che contrastava col dramma del momento.

Ma veniamo alla letteratura. A scuola studiamo i poemi omerici e l’Eneide, la Gerusalemme Liberata e l’Orlando Furioso, per non parlare della Divina Commedia (o Comedia) che non supererebbe in molte parti il vaglio del “politicamente corretto”, per finire con i “Promessi sposi”. I poemi greco-latini verrebbero almeno assolti per il giudizio sull’omosessualità, sottointesa in taluni eroi come Achille ed Eurialo e Niso.

Ma che fare della “Comedia” dantesca? Il povero Brunetto Latini punito come tutti i sodomiti, Paolo e Francesca, dannati per un amore fanciullo, lo stesso Ulisse, punito principalmente per la sua smania di conoscenza. È pur vero che proprio per questi dannati Dante prova compassione, ammirazione e amore, che non riserva certo per molti esponenti del clero, ma la sua cultura è quella del Medioevo di cui la sua opera è la summa. Proprio il suo poema dimostra l’impossibilità di giudicare in base a convinzioni ideologiche il passato.

La poesia dantesca è talmente sublime che vibra ancor oggi della medesima bellezza quando la si recita. Eppure è un’opera letteraria intrisa della cultura, della morale e della politica del suo tempo. E ancora, la Lucia Mondella del Manzoni è una contadina del Seicento, ma non sarebbe stata molto diversa nell’Ottocento. Oggi la sua grandezza potrebbe anche non venire colta, per questo è giusto farla studiare, proprio per apprendere l’esistenza di sensibilità, epoche e mondi diversi.

Noi siamo quello che siamo perché siam figli del passato e dell’affinarsi della cultura, del gusto, della tolleranza. Dobbiamo studiare e ammirare l’ingegno dell’umanità nell’arte, nella letteratura, nella scienza. Invece oggi mi pare che la cultura, il gusto e la tolleranza siano travolti da una sorta di pensiero unico delle banalità.

Se leggo Shakespeare, Dostoevskij, Gadda, Gozzano, Pavese, Borges, Camilleri, Simenon e mille altri, sicuramente stupirò per la loro bravura, ma mi confronterò col loro mondo, col loro pensiero, con la loro grandezza. Potrei anche dissentire con taluni contenuti, chissà. Ma nulla mi toglierà il piacere di leggerli.

Sicuramente su alcuni di loro potrebbe cadere la mannaia del “cancel culture”. Si pensi al “Mercante di Venezia” o al “collezionismo” di Simenon. Ci sono poesie di Gozzano esempi di un lucidissimo, feroce e compiaciuto maschilismo, superbe però per l’autoironia che le pervade. Vi suggerisco di leggerle.

Ogni artista, condottiero, scrittore e filosofo è figlio del suo tempo e generalmente è un miscuglio di bene, male, genio e sregolatezza. In taluni casi può essere un precursore, ma fino a quando? Prendiamo l’iconografia dell’arte: spesso quella religiosa è sbagliata, talvolta influenzata dalla letteratura apocrifa, talvolta da forzature dottrinali, come per il battesimo di Cristo. Ma si tratta comunque di capolavori che nessuno, giustamente, oserebbe toccare.

Sul web la frase che più spesso leggo (quelle poche volte che mi avventuro) è: “quello che hai scritto è inammissibile”, oppure “vergognoso”, “fascista”, “intollerabile” e così via. Nessuno che prima chieda e si chieda: “perché hai scritto questa cosa?”. Magari riflettendo sui diversi significati che la frase potrebbe avere, sul contesto e sulle motivazioni. Il confronto, il dibattito, la dialettica e la maieutica non esistono più.

Il dissenso dell’altro viene subito bollato con un insulto: sei razzista, maschilista e omofobo a seconda di chi è il tuo interlocutore. In realtà se do del cretino ad un omosessuale, magari ce l’ho proprio con lui e non con i gay di tutto il mondo.

E veniamo alla Bibbia (il libro più stampato e letto del mondo, più del Corano) di cui l’ira iconoclasta salverebbe solo alcune paginette. Ovviamente si tratta di un libro religioso (ispirato da Dio) quindi nessuno può censurarlo, ma negli anni gli esegeti hanno saputo individuarne lo spirito che è intriso dal Verbo, per cui ogni avvenimento assume un significato fortemente metaforico. Una contestualizzazione che giustifica la tolleranza di molte confessioni cristiane verso l’omosessualità, verso il divorzio, verso la convivenza senza matrimonio. Ma non sempre è così: i letteralisti e i fondamentalisti ci sono ovunque (e dal punto di vista esegetico trovano giustificazione) e per loro un gay è peccatore, il matrimonio è indissolubile e lo “scandalo” è solo il peccato sessuale. Possiamo impedire loro di pensare in tal modo?

Noi potremmo ribattere che Cristo propone l’amore come dialogo universale, che parla con la samaritana, perdona la peccatrice, accetta l’omaggio di Maria di Betania. Insomma nessuno viene respinto dal Signore, chi siamo dunque noi per respingere o bollare gli altri? Ma questo vale per tutti, anche per quegli intellettuali a caccia delle “parole ignobili” pronunciate dal popolo bue.

Claudio Bo